Sulle tracce degli Etruschi

un “racconto soggettivo” a cura di Massimo Capobianco

19-21 maggio 2017

La notizia che “qualcuno” stava studiando un percorso chiamato “via degli etruschi” in alternativa alla stra-nota “via degli dei” girava nell’aria da oltre un anno. Quando finalmente la notizia è stata ufficializzata e proposta al ciclo CAI da un gruppo di conosciuti e stimati biker quali Simone, Alberto e Claudio ero troppo curioso per non lasciarmi tentare. Nell’arco di poche settimane si sono succedute una prima riunione di presentazione ufficiale, una raccolta di nominativi, una seconda riunione logistica, con maggiori dettagli e precise indicazioni di spesa, infine, passate le defezioni dell’ultimo minuto (Claudio, Luca e Marco) si è arrivati al giorno della partenza.

Questo lungo processo ha generato in me aspettative altissime. Partecipare alla messa in atto di un nuovo percorso, su distanze importanti, capita poche volte nella vita. Agli inizi della mia attività di biker ho avuto il privilegio di inaugurare la ciclovia della seta con il Monte Sole Bike Group sotto la guida di Martino Caranti, uno straordinario percorso coast to coast da Venezia a Livorno in sette tappe (Venezia-Chioggia-Ferrara-Bologna-Lucca-Pistoia-Pisa-Livorno) ed ora dopo 17 anni una nuova occasione! Altro motivo di grande fascino la possibilità di tornare nei luoghi più belli del nostro appennino: Montesole, meta di numerose gite; Brasimone in cui nell’ottobre scorso ho ripreso la mia attività ciclistica con un braccio ancora malfermo, la possibilità di cenare al Gabana col ricordo fresco della cena con i partecipanti del cicloraduno; i monti della Calvana di cui ricordavo una splendida vista su Firenze e Prato e una preoccupante ripidissima discesa sulla città. Questo giro però ha anche pretese culturali e in un programma ciclisticamente già impegnativo includeva anche la visita guidata del museo etrusco di Marzabotto e a quello di Artimino, i classici gioielli sotto casa, che essendo così vicini si finisce col trascurare. A sollevare lo spirito: la possibilità di un’auto di scorta, guidata da Stefano, che ci ha permesso di viaggiare con zaini leggeri e la consapevolezza di un possibile aiuto in caso di necessità. Le soste pranzo previste fin dalla partenza sembravano indicare una scampagnata più che un raid in ambiente ostile.

Per contro ero con Alberto quando mi fratturai il braccio, una persona che ha fatto il suo viaggio di nozze in Tibet, la nostra guida nella due giorni del Cimone che ha dimezzato il numero dei partecipanti tra la prima e la seconda giornata proponendo percorsi “all’80% pedalabili”.

Altra guida Simone, simpatico eh, ma in sella è di un’altra categoria capace di scendere e salire da qualunque scoglio, da fare invida a capre e camosci, sai che gira coi “Gemini” che si divertono col “doppio-Tiravento” e lo “Zucchero Dante” OC/EC nella classificazione CAI!

Poi pensi: beh c’è anche Claudio, è bravo, grande resistenza, ferrea volontà, buona tecnica… ma appartiene alla categoria degli umani. C’è speranza.

Pian piano si scoprono i partecipanti: c’è Laura, sì d’accordo sembra essere nata in sella ma è alla sua prima stagione. Valentina è interessata, i 1500 li ha nelle gambe, alle lezioni affronta qualunque ostacolo senza paura, sempre col sorriso sulle labbra, Alberto e Laura e Simone sembrano accoglierla volentieri e anch’io finisco con l’incoraggiarla, egoisticamente penso: non sarò l’ultimo. C’è Giuseppe, compagno di mille escursioni, una delle nostre guide, una delle mie guide: Montesole, Acquadela, CAI. Posato, tranquillo… umano. C’è Maya! Bello, l’ho conosciuta anni fa con una sella troppo alta, si buttava su tutte le discese, più istinto che tecnica, ma veramente forte! Non la vedo da ottobre chissà se si è allenata? Mi fa piacere incontrarla di nuovo.

Ci sono altri nomi sconosciuti, capita spesso. Nuovi amici!

Si parte.

Manca Luca, manca Marco, di Claudio si sapeva da qualche giorno, peccato!

La macchina di scorta fa un figurone con le insegne sulle fiancate. Idea geniale! L’accoglienza al museo è piuttosto fredda. Eppure siamo colorati, sorridenti, chiassosi. C’è il sole, eravamo quasi rassegnati a girare per due giorni sotto la pioggia. Finalmente arriva il direttore del museo che ci accoglie con grande simpatia. Ci spiega del sito, del grande tempio colorato che si trovava all’ingresso, della disposizione delle costruzioni/botteghe. Ci accompagna sul pozzo che contiene la pietra della fondazione con gli assi della città ancora visibili (gli crediamo sulla fiducia!) Ci racconta della persona sorpresa nel cercare di rimuoverla. Ci fa attraversare l’area abitata per scendere nella necropoli, ci illustra le tecniche di sepoltura, ci parla degli oggetti ritrovati nelle tombe, risponde a qualunque nostra domanda. Si percepisce la passione per l’argomento, sembra uno del gruppo, vorrebbe quasi venire con noi. Addirittura si propone come futura guida in alcuni dei siti che visiteremo nel nostro itinerario, pensa già a come mettere in pratica questa idea. E’ fantastico vedere come l’impresa che stiamo per compiere possa trasformarsi in storia sotto i nostri occhi!

Imbocchiamo la ciclabile lungo il Reno. L’avrò percorsa almeno venti volte per andare a Monte Sole, ma… l’ultima volta la ciclabile non c’era, esisteva certo lo sterrato ma lo stradello spianato è recente. La dimostrazione tangibile dell’interesse verso la mobilità ciclistica. Bene così! Si sale, prima Sperticano, poi Montesole, qualche istante di raccoglimento davanti al cimitero di San Martino e si riparte.

La salita vera comincia, dopo qualche perplessità, ecco tra gli alberi l’inizio del preannunciato tratto a spinta. E’ ripido, è caldo, sì forse si potrebbe pedalare, ma chi ce la fa… e poi non si vede dove finisce. Spingo o sollevo la bici? Un po’ e un po’. Mi trovo in testa al gruppo. Bene sono carico, mi libero dello zaino e scendo a dare una mano. Ho la fortuna di aiutare Valentina, posso compiere la mia buona azione, scaricarmi un po’ la coscienza, e poi ha una bici leggera, non è quella di Andrea senza il pulsante. Hai voluto l’elettrica ora te ciucci sul tratto a spinta, ti rifarai nelle salite pedalabili quando ci sorpasserai cercando di mascherare il sorriso. Non lo dici ma lo pensi, non puoi essere “politically correct” sotto sforzo!

Un occhio al navigatore già 900 m di dislivello raggiunti. C’è il sole, il tratto a spinta è finito dall’alto già si vedono i Fienili di Grizzana Morandi, dove ci fermeremo per lo spuntino. Ritroviamo Stefano l’autista.

Acqua a volontà: naturale, frizzante bella fresca! E’ la felicità? Ci siamo vicini. Compaiono vassoi di crostini. Sempre più vicini! La gestrice ci invita con un sorriso ad entrare per il pranzo, al riparo dal vento che fa svolazzare le tovagliette di carta. Pasta di farro con ragù o con funghi nella versione vegetariana e senza lattosio. Dove sta scritto che ci dobbiamo accontentare delle barrette? Che disponibilità! Che programmazione raffinata! Scopriamo che c’è anche un dolce, anch’esso disponibile nella versione senza lattosio, ci servirà nel corso della giornata.

Si scende, nessun problema per le nostre guide, Carlo, Maya, Laura e Dimitri; in fondo al gruppo io, Andrea, Valentina, Giuseppe e Stefano che è stato incaricato di chiudere la fila, impassibile, apparentemente quasi annoiato dallo scrosciare della radio che funziona a tratti. Passiamo un paesino, forse Stanco. Un vecchio seduto fuori dall’uscio di casa guarda la strada, priva di cantiere, e la sua giornata prende vita! “State andando incontro al temporale” ci dice, o qualcosa del genere. In pochi minuti la pioggia comincia, si intensifica, troviamo un inutile rifugio sotto un balcone dell’ultima casa del paese, ne approfittiamo per cambiarci. Ci bagnamo ugualmente, la pioggia scende in diagonale, spinta dal vento, ma siamo tutti lì, a commentare la gufata, contenti di aver goduto di diverse ore di tempo bello. Comunque non è freddo e si riparte. Non piove più, ci spogliamo. Nuova sosta alla cappella dei Frascari alcune persone stanno posizionando un grosso cippo. Ci offrono l’opportunità di visitare l’interno della cappella, recentemente restaurata. Si Continua su asfalto: SP72, SP39, poi sterrato costeggiando il bosco. Un nuovo tratto di asfalto di nuovo l’auto di scorta, e siamo già in vista del lago. Le indicazioni per “la Succhiata” suscitano in me ricordi di facili battute del cicloraduno di ottobre. Siamo arrivati! Il gruppo si divide per un affaccio diretto al lago del Brasimone. Chi si ferma alla diga, chi pesta l’acqua.

La gestrice del Gabana ci accoglie con calore. Eh sì anch’io mi sto affezionando al posto, c’ero stato per la prima volta il 10 aprile 2016 dopo una mezza giornata passata a pulire un sentiero con i compagni del CAI e l’onnipresente Alberto.

Ora siamo nel giardino sorseggiando bibite, orgogliosi e contenti di essere arrivati in fondo alla prima giornata. Simone e Stefano arrivano con un borsone contente delle buste. E’ una sorpresa, c’è una maglietta per ognuno di noi! Della taglia giusta, con un disegno originale di Erica, la figlia di Alberto che ha fatto tutto a insaputa di lui! Siamo troppo orgogliosi di indossarla.

Ci dividiamo per prendere possesso delle camere, ci ritroviamo a cena con le nostre eleganti magliette e siamo raggiunti dalla nostra Presidente! Decisamente non è un giro qualunque! In sala è presente anche un responsabile del CAI di Castiglione dei Pepoli con un nutrito gruppo di accoliti, tutti giovanissimi! A fine serata si confabula si prendono contatti per possibili iniziative future. Il cielo è stellato!

Secondo giorno.

Colazione esagerata da Gabana, per me cambio di camera d’aria, sotto lo sguardo attento di una bimba. Si parte poco dopo, costeggiando il lago, poi in salita costeggiando una rete di protezione alla centrale. Alberto spiega che diversi caprioli rimangono intrappolati nella zona finendo con l’incrociarsi tra consanguinei e ogni tanto si procede ad abbatterli, per non alimentare tare nella popolazione. Attraversiamo la provinciale all’altezza del tabernacolo di S. Giuseppe. Scendiamo, entriamo nel bosco e affrontiamo ben due guadi, ma non è lo stesso rio? Arriviamo alla Badia di Santa Maria di Montepiano, poche centinaia dimetri e siamo già in pausa caffè a Montepiano. Lasciamo la provinciale 36 ed entriamo nel bosco. Si torna a salire, su asfalto fino al valico della crocetta, torniamo in sterrato, incontriamo parecchio fango, ci sta, il giorno prima ha piovuto. Lo stato d’animo è sereno, la notte è servita a riposare le gambe e poi sappiamo che oggi faremo meno dislivello. Passiamo il Memoriale della Linea Gotica. Spesse volte spingiamo ma sono sempre tratti brevi, niente a che fare col salitone del giorno prima. Ancora abbastanza in forma arriviamo a monte Cuccoli, a ridosso del complesso di San Michele per il pranzo. Siamo all’aperto ci godiamo il fresco dell’ombra o il tepore del sole. Una simpatica cagnolina di nome Maya è in vena di farsi coccolare. Ha un pelo candido, morbido, cammina barcollando, sembra un cucciolo, ma scopriamo che è anzianotta. Mentre finiamo di spazzolare la tavola arriva un quad extra large che guardiamo con un po’ di diffidenza, Maya (la nostra) lo avvicina con la sua bike per farsi fotografare. Salutiamo Steve e ripartiamo verso la Calvana. C’è del nero sullo sfondo, ma è ortogonale alla nostra direzione. La salita si fa impegnativa, è lunga, fa caldo e le nuvole nere sembrano aspettarci. Ancora uno sforzo e… ma quello è un cavallo! Ci congratuliamo con Simone per avere mantenuto le promesse. Subito dopo vediamo anche una mandria di vacche, bianche, diffidenti con qualche vitellino, si spostano verso l’alto e così ci precedono per un tratto. Siamo in cima a Monte Maggiore passiamo davanti a un piccolo cippo. La vista è stupenda, da una parte in lontananza Firenze di cui si distingue il cupolone, più vicina Prato, ancora più vicino il nuvolone nero. Ripartiamo ma è chiaro che non avremo scampo. Appena iniziata la discesa i primi goccioloni e i tuoni, sempre più vicini. Ci vestiamo al riparo di qualche arbusto troppo basso per essere di qualsiasi utilità. Il terreno diventa ben presto scivoloso per il fango e per le rocce bagnate. La preoccupazione serpeggia, ma siamo in gruppo, uniti ce la faremo, ad ogni passo scendiamo di quota allontanandoci dal pericolo. Entriamo nel bosco e poco dopo anche la pioggia si calma e… finisce! Siamo in direzione di Prato su asfalto, ma Simone ci ha riservato un ultimo tratto di sterrato, cattivello! Io, Andrea e Valentina restiamo in dietro, Questa volta ci scorta Alberto che scende avanti, risale a piedi e porta giù la bici di Valentina che non se la sente di affrontare la notevole pendenza su sassi smossi, e bagnati. Io ogni tanto ci provo ma mi ritrovo sempre nel gruppo di coda. Lo sterrato ci porta alle cascatelle del Rio Buti, a pochi metri dalla ciclabile del Bisenzio. Ci possiamo rilassare, cambiarci e metterci alla ricerca dell’ostello/teatro. Laura risolve il problema degli ultimi chilometri con la navigazione guidata di google maps, forse prendiamo qualche stradina contromano, ma il traffico lo consente. L’ostello è confortevole, uno stanzino per uno con diversi bagni sul piano. Chi si attarda ad entrare in doccia, passa il tempo apparecchiando il letto e stendendo giacchetta e pantaloni anti-pioggia.

All’orario convenuto ci troviamo tutti nella hall, prontamente zittiti dalla receptionist che ci avvisa che all’interno lo spettacolo è iniziato. Con le nostre belle magliette facciamo due passi per raggiungere il ristorante. L’Oste è entusiata di accoglierci, ci ha riservato una sala, ma prima vuole farsi fare una foto col gruppo per la pagina di facebook. In fin dei conti perché no, il percorso va pubblicizzato. Nel mentre un giornalista di passaggio fa una veloce intervista a Simone ed Alberto, incuriosito dai preparativi della foto. Siamo lusingati. La cena è ottima, ma già dopo un giro di affettati (tra cui la mortadella di Prato) e crostini siamo già mezzi pieni. Arriva una doppia porzione di pappardelle che fatichiamo a finire, a poco valgono le proteste di Simone che chiede di limitare le porzioni, abbiamo ancora da consumare polpette di sedano, rollè di coniglio con salsa tartufata, verdure grigliate e infine cantuccini!

Si torna all’ostello, qualcuno opta per un percorso digestivo.

Sono le quattro e tutto va bene, anzi no: cos’è questo rumore ritmato? Apparentemente sembra provenire dalla stanza 21. Anche questa notte bisognerà indossare i tappi.

Terzo giorno.

Il mattino il tempo è magnifico, la colazione è più spartana di quella del Gabana, ma i fondamentali ci sono. Va bene così, abbiamo tutti esagerato a cena. Recuperiamo le bici e partiamo per un giro turistico del centro di Prato. Va un po’ meglio, anzi decisamente bene! Prato non è un ammasso disordinato di case e strade sgangherate, c’è una basilica, una piazza coi furgoni della RAI, dei viali, un caffè storico dove ci ri-fermiamo, quasi a validare il nostro passaggio. Passiamo davanti ad un castello, bancarelle ed infine entriamo nella ciclabile che costeggia il fiume. L’acqua del fiume è limpidissima immobile e blu, qualche anatra l’attraversa, forse anche qualche pantegana. Percorriamo diversi chilometri e quasi alla fine della ciclabile incontriamo un gruppo di escursionisti a piedi in procinto di salire sulla Calvana. Il loro capogruppo cerca di guadagnare le simpatie dei partecipanti raccontando che aveva chiesto tre aiutanti di nome Andrea ma ne aveva trovato solo due… Ascoltiamo questo cabaret mentre Alberto ripara una foratura.  La ciclabile si allontana dal fiume, poi si riavvicina, su asfalto, si attraversano cavalcavia, ci si muove con diversi cambi di rotta fidandoci del nostro navigatore e delle nostre guide. Raggiungiamo la casa di Zela, una fattoria/museo, all’interno di una piccola oasi naturalistica dove facciamo una prima pausa. Qualcuno lava la bici rubando l’acqua senza permesso, non farò nomi sperando in una ricompensa. J

Ancora percorso facile, costeggiando il laghetto, poi entriamo a Poggetto dove ci riforniamo d’acqua nel distributore del parco pubblico. La parte facile non dura per sempre, ci aspetta una terribile salita al borgo di Verghereto, che vediamo in lontananza, altissimo. Lo sterrato è facile, ma la pendenza è sensibile, tutto al sole. Alberto Carlo e Stefano sono gli unici che riescono a tenere un’andatura regolare sui 4 Km/h gli altri procedono a singhiozzo correndo avanti e fermandosi per riposare. Ok siamo in cima, si vede Artimino forse siamo già un po’ più alti, ma a ben guardare la città è… su un altro colle. Tocca scendere e risalire! Poco male. La discesa è scorrevole e divertente, anche per me che devo smontare di sella solo una mezza dozzina di volte. La risalita ad Artimino è su asfalto sono almeno 150 – 200 m di dislivello e non c’è più Alberto a dettare il ritmo. Tocca spendere le ultime energie per non poggiare il piede a terra e non farsi distaccare troppo. Prima di arrivare al paese incontriamo sulla destra la bella pieve di San Leonardo

In cima alla salita passiamo davanti al museo e dopo pochi metri arriviamo al ristorante. Anche questa volta siamo fuori, dentro festeggiano una doppia comunione. Le portate si susseguono numerose, tra brindisi e sorrisi, siamo stanchi ma siamo arrivati in fondo, 3600 metri di dislivello, più di 130 Km un percorso impegnativo ma bellissimo dal punto di vista storico/paesaggistico e per le emozioni che ci ha suscitato come gruppo. Veniamo raggiunti dalla direttrice del museo archeologico. Dopo un po’ siamo con lei sull’affaccio panoramico. Il racconto comincia con la descrizione dell’importanza della posizione di Artimino e del vicino monte che permette di vedere tutta la valle. Si prosegue nel museo, prima la parte dedicata ai vivi, poi nel piano basso a quella dedicata ai ritrovamenti nelle necropoli. Ci sono oggetti di squisita fattura in bucchero e numerosi frammenti di cotto finemente decorati. La direttrice è instancabile ed entusiasta, risponde a qualunque nostra domanda e anche a quelle di una bimba che si è intrufolata tra noi con la sua mamma.

La visita si prolunga e veniamo raggiunti da altri gruppi. Dopo un paio di ore, piuttosto stanchi ci accomiatiamo, e dopo una breve ricerca raggiungiamo i furgoni per il ritorno dove qualche anima buona ha già provveduto a caricare le bici. Rientriamo a Marzabotto sotto un traffico intenso ma scorrevole.

Un grazie di cuore in primis alle guide Simone e Alberto per avere programmato con cura l’itinerario, e dettato i giusti tempi durante l’intero percorso, a Laura per avere fatto con Simone un sopralluogo nel tratto Prato-Artimino, e per avere gestito prenotazioni e cassa.

Un ringraziamento a Stefano G. per averci alleggerito non solo del bagaglio, ma anche della preoccupazione di essere caricati in caso di bisogno, un importante aiuto psicologico! Un grazie ai miei compagni più forti Stefano S., Maya, Laura, Dimitri e Carlo, che sono stati d’esempio nei tratti più impervi, in salita e in discesa, senza mai fare pesare la loro forza. I racconti delle vostre imprese sono stati occasione di interessanti conversazioni tra una portata e l’altra. Voglio essere come voi da grande! Di nuovo grazie a Stefano S. e Carlo che si sono occupati di chiudere le fila, senza perdere nessuno per strada e senza mai farci fretta. Un grazie ad Andrea che ha compensato a braccia lo sforzo risparmiato sui pedali. Un grazie a chiunque abbia fatto foto, che serviranno a fissare nella memoria le bellezze di questo percorso e a renderlo indimenticabile. Un grazie a Giuseppe per aver portato a 1001 il numero dei giri fatti assieme.

Infine un pensiero a Valentina, che si è lasciata convincere a prendere parte a quest’avventura, quasi al limite delle sue forze, ma sempre col sorriso sul volto!